Il silenzio di Maria. La figura della Madonna ne “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini

Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini è sicuramente uno dei suoi lavori più appassionati. Quello che colpisce ad una prima visione è lo stile dei personaggi. I seguaci di Gesù sono tutte persone del popolo ed è ben studiato il contrasto con la superbia dei sacerdoti e la rozzezza dei romani, specialmente quella dei soldati violenti o nullafacenti nelle loro armature.

Il film è una sequenza di immagini quasi fotografiche e segue pedissequamente i racconti narrati nel Vangelo di Matteo. Ogni battuta è citazione del Vangelo, non vi sono interpretazioni o interpolazioni. Come scrive Virgilio Fantuzzi “tra i tanti film dedicati alla vita e alla passione di Gesù, quello di Pasolini è il solo nel quale il protagonista e gli altri interlocutori usino parole scritte nel Vangelo, senza ricorrere a parafrasi o trasposizioni. Il pregio maggiore del film è nel suo stile, sobrio e intenso, capace di rendere in maniera efficace il senso della pagina evangelica[1].

Il focus è chiaramente la figura di Gesù, eppure il film si apre con un intenso primo piano di Maria, interpretata dalla giovane Margherita Caruso. Il delicato viso di questa giovanissima donna è incorniciato da un arco in pietra che ricorda la Grotta delle Tre Fontane, luogo di un’apparizione mariana, e di culto sin dal 1947, situato nel territorio del quartiere EUR di Roma. Anche la posizione del velo sul capo di Maria ricorda di primo acchito l’immagine della Vergine, così come fu descritta dal mistico Bruno Cornacchiola e riprodotta nella statua posizionata nella Grotta sacra. Come noto, Pasolini trascorse in questo territorio una parte della sua esistenza e non è escluso che anch’egli l’abbia visitato e conosciuto. Inoltre, nel 1964, presso la Basilica dei Santi Pietro e Paolo, sita anch’essa nel quartiere EUR, Padre Faustino Ossanna, scomparso nel dicembre 2016, diede vita a una lungimirante attività pastorale e culturale –poco dopo trasferita nella nuova struttura del “Seraphicum”, molto vicina al luogo sacro paolino e mariano delle Tre Fontane – con la proiezione di film e dibattiti per una lettura critica dei temi di attualità. Nacque così il Cineforum “Seraphicum” che avrà tra i primi ospiti Pier Paolo Pasolini e Roberto Rossellini e che prosegue tuttora, centrato proprio su quella formula di approfondimento voluta da padre Faustino. Proprio recentemente padre Faustino, intervistato dalla rivista “Newsletter di san Bonaventura”, aveva spiegato il senso di questa collaborazione dal sapore speciale con lo scrittore friulano: “Era circa la metà degli anni Sessanta, Pasolini era venuto ad abitare con la mamma all’Eur, in quel periodo aveva lavorato al film Il Vangelo secondo Matteo e volevo approfondire l’argomento direttamente con lui che tra l’altro sapevo essere non più credente – fu il racconto del religioso trentino . Passava sempre davanti alla chiesa, abitando proprio lì vicino; così un giorno lo fermai, ci mettemmo a parlare, mi raccontò di questa sua opera e gli chiesi di venire a presentarla in parrocchia. Così fece, proiettammo il film, lo spiegò e ne nacque un dibattito vivace ma sereno nel quale affrontammo temi come il problema religioso, la politica di fronte al cristianesimo e la perdita di orientamento cristiano della famiglia”. E rivelò un particolare inedito sul cineasta e scrittore: “Pasolini era un tipo cordiale, aperto, coraggiosamente diceva quello che pensava anche riguardo alla Chiesa e alla politica; proprio quello diventava per noi un punto di partenza per l’evangelizzazione: la necessità di prepararsi a rispondere ai problemi del mondo. E uno stimolo arrivava proprio dal cinema. Così trovammo l’occasione per iniziare l’esperienza del cineforum con un soggetto ritenuto scomodo da molti nostri ambienti: era il primo incontro Chiesa-cinema con un personaggio assai critico, ma proprio questo permetteva di formarci[2]”.

Sul volume


[1] V. Fantuzzi, Quaderno 3706, 2004, Vol. IV, p. 360, https://www.laciviltacattolica.it/articolo/il-vangelo-secondo-matteodi-pier-paolo-pasolini-versione-restaurata/

[2] http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/approfondimenti/addio-a-padre-faustino-amico-di-pasolini-al-seraphicum-di-roma/

Madonna Povertà. Una lettura francescana del canto XI del Paradiso

Non era ancor molto lontan da l’orto, / ch’el cominciò a far sentir la terra / de la sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerra / del padre corse, a cui, come a la morte, / la porta del piacer nessun diserra;

e dinanzi a la sua spirital corte / et coram patre le si fece unito; / poscia di dì in dì l’amò più forte. 

Questa, privata del primo marito, /millecent’anni e più dispetta e scura / fino a costui si stette sanza invito;

né valse udir che la trovò sicura / con Amiclàte, al suon de la sua voce, / colui ch’a tutto ‘l mondo fé paura;

né valse esser costante né feroce, / sì che, dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch’io non proceda troppo chiuso, / Francesco e Povertà per questi amanti / prendi oramai nel mio parlar diffuso[1].

Così recitano i versi, dal 55 al 75, del Canto XI del Paradiso che Dante dedica a San Francesco e a Madonna Povertà.

All’inizio del Medioevo l’esigenza evangelica della povertà era stata oggetto di attenzione da parte di S. Benedetto, che nella Regola dell’Ordine precludeva ogni forma di proprietà di tipo personale, consentendo d’altro canto una proprietà di tipo comune. Questo tipo di povertà, esclusivamente individuale, aveva consentito l’accumularsi di ricchezze proprio in capo alle Abbazie. Ricchezze che non sempre venivano utilizzate in modo esteso al prossimo e che per questo avevano prestato il fianco a critiche anche aspre e talvolta violente. Tale situazione, denunciata come una contraddizione dei principi evangelici, aveva favorito il proliferare di movimenti pauperistici anche radicali, al punto che la povertà era diventata la pietra di paragone fra eletto e reprobo. A tale deformazione della Parola evangelica riuscirà a reagire in modo compiuto il movimento francescano, grazie proprio all’equilibrio del suo fondatore[2]. Con Francesco la povertà acquisisce uno statuto nuovo: non è più sinonimo di dolore, d’incertezza, d’inadeguatezza, poichè essa nasce non solo dalla volontà di aderire alla lettera di Gesù, ma anche e ancora di più dal senso di gioiosa ricchezza interiore che rifiuta ogni avidità e si manifesta nel dono verso il prossimo. La gioia è l’espressione dell’interiore possesso di Dio e diventa l’antitesi della predicazione ribelle dell’eresia: si è più felici quanto si è più ricchi di Dio. Anche all’interno dell’Ordine francescano il tentativo di precisare tale povertà, successivamente alla morte del fondatore, ha dato luogo a dispute che hanno coinvolto anche l’Università parigina, ma ha anche spinto un ignoto[3] a descriverla, attraverso la concezione cavalleresca tipica dell’epoca, in un libretto intitolato Santa Unione di San Francesco con Madonna Povertà[4].

Sul volume


[1] Paradiso, XI, 55-75.

[2] Cfr. R. Manselli, S. Francesco e Madonna Povertà, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1990.

[3] L’attribuzione del libretto La Sacra Unione di S. Francesco con Madonna Povertà è molto complessa e dibattuta. Come scrive Manselli, però, è più certa la definizione del periodo di composizione che si fa risalire al tempo del primo movimento francescano, precedente ai dissidi interni all’Ordine che si verificarono successivamente con la scissione tra Spirituali e Conventuali, di cui Dante stesso tiene traccia nella Divina Commedia.

[4] Sacrum Commercium, ovvero della Sacra Unione di Francesco con Madonna Povertà, da alcuni tradotto con Le Mistiche Nozze di Francesco con Madonna Povertà è degno di essere definito come “espressione viva e felice di un movimento che contribuì a salvare la Chiesa e non solo, ma aprì tutta una via nuova alla religiosità medievale”. Cfr. R. Manselli, Francesco d’Assisi e Madonna Povertà, cit., pp. 30-31 e p. 78. Sul tema cfr. anche U. Cosmo, Con Madonna Povertà. Studi francescani, Laterza, Bari 1940.